Mercoledì 17 gennaio 2024 ore 20,30
al TEATRO DELLE ALI

Tindaro Granata
Vorrei una voce

di e con Tindaro Granata
con le canzoni di Mina
ispirato dall’incontro con le detenute-attrici del teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare di D’aRteventi
disegno luci Luigi Biondi
costumi Aurora Damanti
assistente alla regia Alessandro Bandini
produzione LAC Lugano Arte e Cultura
in collaborazione con Proxima Res
partner di produzione Gruppo Ospedaliero Moncucco

BIGLIETTI
intero € 18
ridotto € 15
Accademia Arte & Vita € 12

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oppure nella biglietteria del Teatro in Via Maria SS. Guadalupe 5 a Breno, aperta il martedì e il venerdì dalle 17.30 alle 18.30 e la sera dello spettacolo a partire dalle ore 20.00. In caso di sold-out la sera dello spettacolo verrà predisposta una lista d’attesa (senza garanzia di partecipazione).

Scritto e interpretato da Tindaro Granata, Vorrei una voce è uno spettacolo in forma di monologo costruito attraverso le canzoni di Mina cantate in playback, fortemente ispirato dal lungo percorso teatrale che l’autore e attore siciliano ha realizzato al teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina con le detenute di alta sicurezza, nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare. Il fulcro della drammaturgia è il sogno: perdere la capacità di sognare significa far morire una parte di sé. Vorrei una voce è dedicato a coloro i quali hanno perso la capacità di farlo.

Fortemente ispirato dal lungo percorso teatrale che Granata ha realizzato al teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina con la sezione femminile di alta sicurezza, Vorrei una voce nasce grazie al progetto Il Teatro per Sognare, ideato e organizzato da Daniela Ursino, direttore artistico del teatro nel penitenziario.
Le canzoni di Mina, che Granata interpreta in playback, diventano la materia dei sogni, appartengono alla memoria collettiva di tutti noi e si sono rivelate essere materiale ideale per lavorare con persone non professioniste.
Il fulcro della drammaturgia è il sogno: perdere la capacità di sognare significa far morire una parte di sé. Vorrei una voce è dedicato a coloro i quali hanno perso la capacità di farlo.
Granata dona corpo e voce ad un progetto drammaturgico totalmente inedito, che racconta quello che lo stesso suo autore e protagonista ha definito essere ‘un incontro di anime avvenuto in un luogo molto particolare’.

NOTE DI REGIA

Ero un giovane uomo, lavoravo, avevo una casa, una macchina e soprattutto persone che mi amavano, ma avevo smesso di provare gioia per quello che facevo, non credevo più in me stesso e in niente. Non so come sia successo. Un giorno mi sono svegliato e non mi sono sentito più felice, né di fare il mio lavoro né di progettare qualsiasi altra cosa. Quando mi arrivò la telefonata di Daniela Ursino, direttore artistico del teatro da lei creato all’interno della Casa Circondariale di Messina, con la proposta di fare un progetto teatrale con le detenute <per farle rivivere, sognare ritrovando una femminilità perduta>, capii, dopo averle incontrate, che erano come me, o forse io ero come loro: non sognavamo più.
Guardandole mi sono sentito recluso, da me stesso, imbruttito da me stesso, impoverito da me stesso. Avevo dissipato, inconsapevolmente, quel bene prezioso che dovrebbe possedere ogni essere umano: la libertà.
A quel punto mi sono trovato catapultato, in un teatro vero, in un luogo molto particolare, con delle ragazze come me, proposi di fare quello che facevo da ragazzo quando ascoltavo le canzoni di Mina: interpretavo le mie storie fantastiche con la sua voce.
Con le detenute abbiamo messo in scena l’ultimo concerto live di Mina, tenutosi alla Bussola il 23 agosto 1978. L’idea era quella di entrare nei propri ricordi, in un proprio spazio, dove tutto sarebbe stato possibile. Passando prima, però, da qualcosa di molto profondo, per recuperare una femminilità annullata, la libertà di espressione della propria anima e del proprio corpo, in un luogo che, per forza di cose, tende quotidianamente ad annullare tutto questo.
Ognuna di loro aveva a disposizione due canzoni di Mina e, attraverso il canto in playback, doveva trasmettere la forza e la potenza della propria storia per liberarsi da pensieri, angosce, fallimenti di una vita.
Mi sono trovato, con loro, a cercare il senso di tutto quello che avevo fatto fino ad allora.
Non voglio e non posso portare in scena le mie ragazze del Piccolo Shakespeare di Messina, perché quello che abbiamo fatto dentro quel luogo di libertà che sta dentro un carcere è giusto che rimanga con loro e per loro.
In Vorrei una voce in scena ci sarò solo io, delle ragazze mi porterò i loro occhi, i loro gesti, gli abbracci lunghi e forti, le loro lacrime e i sorrisi. Grazie a loro racconterò storie di persone che dalla vita vogliono un riscatto importante: vogliono l’amore. Non l’amore idealizzato e romantico, ma l’amore per la vita, quella spinta forte, irruente, a volte violenta e apparentemente insensata che ti permette di riuscire a sopportare tutto, a fare tutto affinché si possa realizzare un sogno.
Entrerò e uscirò da ogni storia grazie alle canzoni di Mina cantate in playback, come a creare un concerto immaginario fatto di anime diverse, tutte con un’unica voce, quella di Mina. Così come facevo quando ero poco più che un bambino ed ero libero di immaginarmi il futuro e non avevo paura.